mercoledì 27 febbraio 2008

Obama vincitore dell'ultimo duello tv


I telespettatori scelgono Barack col 70% dei voti. Hillary, pronta a sfruttare le gaffe dell'avversario, non riesce a mettere ko il senatore prima delle primarie decisive del 4 marzo in Texas e Ohio. Obama è ormai in vantaggio secondo tutti i sondaggi nazionali: la Clinton sembra spacciata e la sua strategia di attacco frontale convince sempre meno.

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martedì 26 febbraio 2008

Obama vola: 16 punti davanti a Hillary

A una settimana dalle decisive primarie in Texas e in Ohio, Barack ha preso il largo. Gli elettori: può battere McCain. L’ex First lady perde il sostegno delle donne.

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domenica 24 febbraio 2008

Sondaggio: Obama batte McCain 48% a 40%


A "Meet the Press", il programma condotto ogni domenica da Tim Russert su NBC, sono stati annunciati i dati di un sondaggio "NBC-Wall Street Journal" su quale candidato gli americani voterebbero per le elezioni alla Casa Bianca di novembre. In un potenziale match Clinton vs McCain, il repubblicano vincerebbe in questo momento 48% a 40%. Ma se il candidato democratico fosse Barack Obama, Obama batterebbe McCain 48% a 40%.

Obama: "Se io fossi la Clinton, abbandonerei"


Dopo un altro rally in Texas in stile rock star - uno stadio gremito di 32.000 persone - Obama ha detto ai reporter a Columbus (Ohio) che lui "avrebbe gia' lasciato la corsa, se avesse perso 11 primarie consecutive come e' successo alla Clinton”. Intanto nello staff di Hillary serpeggia il pessimismo, scrive il New York Times: i volontari vanno a casa presto e staccano i BlackBerrys. Anche i fundraisers prendono le distanze...

Hillary out, inizia la gara Obama vs McCain

John McCain e Barack Obama sono già entrati nel clima della sfida presidenziale che, molto probabilmente, il 4 novembre li vedrà impegnati a contendersi la Casa Bianca. La partita di fatto è già cominciata e le campagne dei due senatori si stanno riorganizzando […]


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mercoledì 20 febbraio 2008

L'uomo della Provvidenza

Negli USA la Obamamania sta lentamente scivolando oltre l'ammirazione per un politico, oltre anche il tifo da stadio: sta diventando culto. Autorevoli quotidiani riportano di gente che sviene al suo passaggio, altrettanto autorevoli blog titolano Il mistero del culto di Obama, e lo sfottono chiamandolo Colui che cammina sulle acque.

Leggi l'intero post pubblicato in origine su Crisis? What Crisis? da Debora Billi

Obama, il messia

New York. Quando Barack Obama parla, la gente si abbraccia, piange, sviene. Le sue parole suscitano emozione, passione e fervore. “L’atmosfera ai suoi eventi – ha notato il quotidiano The Australian – è di quelle da chiedersi se da un momento all’altro Obama arriverà sul palco con un cesto di pani e pesci con cui […]

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Obama vince in Wisconsin, ormai e' quasi fatta

Barack Obama ha vinto ancora e si avvicina sempre piu' alla nomination, Hillary Clinton e' ormai a un passo dalla sconfitta. Il senatore 46enne, che continua a ispirare le masse e a convincere piu' indipendenti, piu' giovani e piu' uomini della Clinton, ha vinto le primarie in Wisconsin, ottenendo il 58% dei voti, contro il 41% per Hillary. Obama ha vinto in uno Stato in cui l'88 per cento degli elettori è bianco, e dove è alta la percentuale di persone dal basso reddito (uno dei serbatoi di voti, almeno in teoria, della senatrice di New York). Alle Hawaii Obama ha trionfato ottenendo il 76% delle preferenze contro il 24% della senatrice. Obama ha gia' conquistato 22 stati ed ormai e' nettamente in testa per il numero di delegati. Decisivo sara' il Texas, dove si vota tra due martedi', il 4 marzo.

lunedì 18 febbraio 2008

Il paradosso di Obama (sì, un altro)

New York. L’anno della Summer of Love, Barack Obama ha compiuto sei anni. Ai tempi del maggio francese ne aveva otto. Al concerto di Woodstock non ha potuto partecipare, perché frequenteva le elementari in Indonesia. In Vietnam non ci è andato né ha disertato, perché quando l’ultimo soldato americano è tornato dall’Indocina, Obama era soltanto […]

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giovedì 14 febbraio 2008

Perche' gli italiani hanno paura del nuovo?

Mi sorprende sempre di piu' lo spirito estremamente conservatore, o anche di rigetto psicologico del nuovo, di noi italiani. Vi racconto brevemente di come ne ho avuto l'ultima conferma. Ho mandato il link di questo blog ad alcuni amici e conoscenti (italiani e americani) che si riconoscono nel partito democratico (Usa). Ebbene la totalita' di loro, tra gli italiani, mi ha risposto "grazie, ma voto Hillary". Gli americani invece hanno tutti scritto: "fantastico, ottima idea per appoggiare Obama". Perche'? Come mai? Forse la capacita' di aspettarsi un futuro sostenuto da certezze del passato (Hillary) fa premio rispetto all'affascinante idea di cambiamento politico, sociale e di stile (Obama) di cui gli americani sono invece capaci ? La risposta - politica e psicologica - vorrei averla da tutti voi lettori di questo blog. Intanto ecco alcuni commenti:

1) Essì!Come dice San Paolo Krugman sul NYT, il piano sanitario di Obama fa acqua. Quello di Hillary (che invece è fotocopia di quello di Edwards) è molto più pregnante.

A presto Marco

PS. Se po' ffa'! Il nuovo slogan del piddi di Veltroni.

2) A me interessa la vittoria a novembre. E McCain avrebbe gioco molto facile contro Obama - remember the homelend security?
Io sono per Hillary.

Silvana

3) Non voto qui ma sostengo Hillary

mercoledì 13 febbraio 2008

Sul Potomac stravince Obama

Barack Obama ha vinto tutte e tre le ultime primarie democratiche battendo Hillary Clinton in Virginia, Maryland e nel District of Columbia (Washington) e facendo cosi' un enorme passo avanti per la nomination nella corsa alla Casa Bianca. Le cosidette primarie del Potomac hanno portato a otto le vittorie consecutive per il senatore dell'Illinois, che ormai ha un forte vantaggio in delegati sulla rivale Clinton. Obama ha stravinto in Virginia con il 64% dei voti contro il 34% di Hillary, mentre nella capitale Washington ha raggiunto addirittura il 75% (vs il 24% della Clinton). "Questa e' la nuova maggioranza americana'' ha detto Obama, 46 anni, in un magnifico discorso che ha commosso ed ispirato 18mila supporter riuniti in uno stadio di Madison, Wisconsin dove sta facendo campagna elettorale per le primarie del 19 febbraio. "Questo e' quel cambiamento di cui parliamo, quando viene dal basso".

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Yes, Amen

New York. Obama è il nuovo messia della politica americana, titola in copertina il tedesco Der Spiegel a poche settimane di distanza dalla cover “Sant’Obama” della rivista neoconservatrice The Weekly Standard. Il fattore messianico della candidatura del senatore nero dell’Illinois è la novità di questo ciclo elettorale, ormai completamente monopolizzato dalla straordinaria capacità di Obama di ispirare elettori e militanti non soltanto democratici grazie a quel suo messaggio ottimista e religiosamente laico a favore del cambiamento, dell’unità e del superamento delle tensioni sociali e culturali create negli anni Sessanta.

Leggi l'intero articolo di Christian Rocca

lunedì 11 febbraio 2008

Primarie, Obama supera Hillary

Il senatore afroamericano punta sull'effetto domino

Alla vigilia delle primarie degli Stati bagnati dal Potomac, Barack Obama ha superato la rivale Hillary Clinton. Il sorpasso è arrivato domenica, dai caucus del Maine: il senatore dell’Illinois ha raggiunto quota 1.134 nel numero totale di delegati e superdelegati, contro i 1.131 dell’ex First Lady.


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domenica 10 febbraio 2008

L'onda Obama travolge Hillary

WASHINGTON - Continua la corsa di Barack Obama verso la candidatura democratica alla Casa Bianca: il senatore afro-americano dell'Illinois ha vinto in modo schiacciante le tre competizioni democratiche in programma, in Louisiana, Nebraska e nello stato di Washington, battendo l'ex first lady Hillary Clinton anche nelle Isole Vergini, dove erano in palio 3 delegati.

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l'intero articolo (Corriere della Sera)

sabato 9 febbraio 2008

Obama è Mac, Hillary è Pc

Ecco qual è la differenza tra i due, secondo il NYT

http://www.nytimes.com/2008/02/04/technology/04link.html

Obama, una marcia formidabile

di Vittorio Zucconi - La Repubblica

Assorbiti dalla dinamica giornalistica della «corsa dei cavalli», da numeri, percentuali, risultati e sondaggi (più che mai smentiti dai voti reali anche in questo supermartedì) noi che guardiamo questa stagione elettorale americana così importante per giudicare la salute politica della democrazia cardine, rischiamo di dimenticare l´enormità storica di quanto stiamo vivendo: la formidabile marcia di un candidato al quale nessun sondaggista, nessun esperto, nessun «guru» elettorale aveva dato una seria possibilità di competere ancora un mese fa.


E che oggi, a oltre la metà della gara, vede la propria popolarità crescere in tutti i settori dell´elettorato, uomini bianchi, afro americani, giovani, persino quelle donne che dovrebbero essere la rocca imprendibile della signora Clinton, ancora testa a testa con lei oltre la metà della partita.Basta guardare la mappa elettorale uscita dai milioni di voti espressi martedì (una partecipazione inaudita a consultazioni primarie) per vedere sulla scacchiera degli stati americani come nessun altro, non il repubblicano McCain, forte soltanto lungo le coste, non il suo probabile futuro vice, Huckabee, campioncino del sud devoto e cristianista, e neppure la Clinton che pure ha vinto i grandi stati bagnati dai due oceani, ha lo stesso «appeal» traversale, nel sud, nella prateria, nel Midwest, nel Nord, che Barack Obama ha.

C´è una sorta di «Obama belt» di cintura di stati per lui, che si sta tendendo fra le Montagne Rocciose e l´Atlantco. Persino in stati come lo Idaho, dove una persona di colore si trova soltanto se è un turista di passaggio con l´auto guasta, il figlio di una tribù del Kenya, allevato da un patrigno indonesiano di fede musulmana, ha stravinto.Il cosiddetto "supermartedì" del 5 febbraio era stato costruito dagli ingegneri elettorali dei partiti per comprimere e abbreviare la maratona estenuante (e costosissima) delle primarie diffuse, incoronare un vincitore e dare quindi il tempo ai due finalisti di rifiatare, ricostitutire il tesoretto elettorale e poi lanciarsi verso le convention di fine agosto e di settembre, liberi da altre preoccupazioni.Il marchingegno era stato montato pensando soprattutto ai due favoriti e inevitabili vincitori delle previsioni, Rudy Giuliani, il «sindaco dell´11 settembre» e Hillary Clinton, colei che avrebbe dovuto chiudere la parentesi di Bush e aprire la fase della restaurazione clintoniana.

La macchina si è rivoltata contro i suoi creatori. Non avevano calcolato il collasso del «fattore Iraq» e della mistica del terrore, né la voglia di cambiamento che ha smantellato il progetto. Avevano dimenticato che in una democrazia viva e reale, in una nazione ormai uscita dall´ipnosi della paura e dal ricatto del jihadismo alla rovescia, i meccanismi, i nomi, anche i soldi, che molto possono ma non votano, fare i conti senza i cittadini è sempre un proposito rischioso. Infatti dalle file di persone che si sono accalcate ai seggi come a memoria di scrutatori mai si erano viste, pensando soprattutto all´economia e molto poco a Bin Laden o alla Bibbia, sono usciti il nome del meno repubblicano dei repubblicani, del più ferocemente antibushista, John McCain, contro il quale lo zoo delle radio ultraconservatrici, i commentatori puri e duri della destra e riviste solenni e schierate come la National Review, si sono scatenate, minacciando diserzione e fulminando scomuniche ideologiche.

E dalle urne democratiche è esploso Barack Obama, l´uomo senza ideologia, forte del proprio carisma, del proprio messaggio alla Tony Blair, credibile perché inedito, di un «nuovo modo di fare politica» a sinistra, che ha completamente spiazzato il mandarinato del partito raccolto attorno a Hillary bloccato sul messaggio classico della partigianeria.Obama è diventato il Reagan della sinistra, il Blair di un New Labour americano, ha fatto ciò che nel 1976 fece il futuro presidente, incendiando entusiasmi sopiti e lanciando segnali agli altri, prima che ai suoi, secondo una strategia che nel 1980 lo portò alla Casa Bianca. E si delinea il fenomeno, micidiale per la destra, degli «Obama republicans», come c´erano stati, e decisivi, i «Reagan democrats».

Gli ingegneri della politica a tavolino avevano sottovalutato quel fiume carsico di nausea per la politica vecchia, ultrapartigiana, che pure i disastrosi indici di gradimento sia per Bush che per il Congresso a maggioranza democratica, indicavano, e che cercavano una foce per uscire allo scoperto. È stato un rifiuto che ha avuto la sua conferma più sbalorditiva nella sconfitta di Barack Obama in quello stato del Massachussets dove lui aveva ricevuto l´unzione da parte dei superstiti del mausoleo kennedyano, la figlia di Jfk, Caroline, il fratello Ted, in una cerimonia solenne che aveva dato la brutta sensazione di un improvviso invecchiamento di Obama, di un suo riassorbimento nel grande fiume della retorica istituzionale. I Kennedy avevano di colpo invecchiato Obama.

Come McCain tra i repubblicani deve continuare a mantenere la propria aura di «maverick», di cavaliere solitario, di uomo capace di attaccare Bush per la guerra in Iraq quando tutti lo applaudivano, e poi di appoggiare l´escalation, quando tutti lo stavano abbandonando, così Obama deve restare l´uomo dello scandalo, il ribelle dolce, il leader di un movimento spontaneo che non propone di annientare il nemico, alla maniera dei democratici clintoniani e dei bushisti nel 2000 e 2004, ma di conquistarlo alla propria causa. Di «invitarlo a fare il bagno con te per poi portargli via i vestiti» secondo la frase di un grande primo ministro inglese.

Per questo fa paura, ai professionisti della politica politicante, come Hillary e ad avversari che portano il peso degli otto anni di manicheismo bushista.Soltanto così continuerà ad attirare quei giovani ormai neppure più tanto giovani che ha conquistato, fra i 18 e i 40, a rosicchiare il vantaggio dei Clinton fra i latino americani, fra le donne, e fra i bianchi del sud dove il suo successo è stato notevole ed è in continuo aumento. E continuerà a seminare il terrore nel campo dei repubblicani che erano vogliosi di battersi con «l´altra Clinton» e riesumare la macchina da guerra contro la coppia che ogni elettore moderato odia appassionatamente e che molti elettori anche democratici non vorrebbero più vedere alla Casa Bianca.

Fra l´odio per i Clinton e la paura dell´Uomo Nero, la destra preferirebbe di molto utilizzare il primo come arma.Il duello continuerà, coinvolgendo donne giovani e meno giovani, neri, ispanici, asiatici, vecchie e nuove città, sobborghi e ghetti, dopo essere scampato alla ghigliottina del supermartedì e sarà la democrazia americana a guadagnarci e con essa l´immagine degli Stati Uniti nel mondo. Dopo i sette desolanti anni di Bush, sta conoscendo grazie a queste primarie, ma soprattutto grazie allo «straniero» Obama, un rinascimento di interesse, di stima e di apprezzamento nel resto del mondo. Non per essere una democrazia perfetta, come vuole l´enfasi nazionalistica, ma come una democrazia viva.